Arte & design

Il giardino e l’arte di Kusama

“Natura Cosmica”, l’esibizione dell’artista giapponese al giardino botanico di New York con una spiegazione sul rapporto tra piante e opere d’arte in esposizione.

Entrando dall’ingresso secondario del New York Botanical Garden (Mosholu Entrance – di fronte alla stazione della ferrovia), la prima opera di Kusama che si incontra è un gruppo di alberi ricoperti da un panno rosso e grossi pois bianchi. Il panno avvolge il tronco e alcuni rami. La corteccia sparisce, lasciando spazio ai colori e ai pois, che sembrano invadere l’albero, come a volerlo colorare tutto.

NYBG – Yayoi Kusama – Ascension of Polka Dots on the Trees, 2021

“I pois sono un elemento distintivo nel suo lavoro fin dai primi giorni”, spiega Paula Capps, insegnante di storia del design dei paesaggi al New York Botanical Garden. “Uno degli aspetti chiave nelle opere di Kusama è la ripetizione. Ripetendo schemi e dimensioni diversi e coprendo tutte le superfici, Kusama trasmette allo spettatore sia l’annullamento della percezione della forma e del corpo, sia l’allucinazione o il disorientamento nel capire dove si trova nello spazio fisico”.

Yayoi Kusama – Pumpkins Screaming About Love Beyond Infinity

L’opera che in qualche modo racchiude tutta Kusama è “Pumpkins Screaming About Love Beyond Infinity” “Zucche che urlano d’amore oltre l’infinito” (accessibile solo con il “KUSAMA Garden & Gallery Pass ticket”). Il visitatore entra in una camera oscura e si trova di fronte a una teca di vetro a forma di cubo delle dimensioni di un metro per un metro. Alcune luci illuminano un gruppo di zucche di diverse dimensioni e diverse forme. Sono tutte gialle con dei pois neri. Più ci si avvicina e si guarda dentro la teca, e più si viene immersi in un mondo giallo e nero infinito. Non si capisce più se le zucche sono sopra, sotto o ai lati. Sono dappertutto. E più si cerca di guardare lontano, più se ne vedono altre all’orizzonte. Ovunque. E in quell’infinito ci si perde, con piacere.

Paula Capps ha studiato storia del design dei giardini all’Università di Oxford. Ha visitato e studiato giardini negli Stati Uniti, in Asia e in Europa. E da diversi anni è insegnante del corso “Landscape Design History” “Storia del design dei paesaggi”. Con questo s’intende la storia di quella forma d’arte che l’uomo ha utilizzato per ricordarsi del suo rapporto con la natura. Un rapporto talvolta di controllo e talvolta di rispetto. Le abbiamo fatto qualche domanda per capire meglio il significato delle opere di Kusama e il senso che hanno oggi.

Come si legano assieme Kusama e il New York Botanical Garden?

“L’arte di Kusama assume diverse forme. Le sue opere più colorate e vivaci sono una forza dirompente nel paesaggio pastorale e naturalistico del NYBG. Camminiamo, forse sognando ad occhi aperti, in questo santuario calmo nel mezzo di una città che corre, sempre di fretta. E improvvisamente ci imbattiamo in un’opera monumentale dai colori esuberanti e ci viene ricordato che siamo anche in un luogo che esplode di colori in primavera, estate e autunno. È un posto dove ogni giorno migliaia di piccoli miracoli accadono lontano dal nostro sguardo. Kusama è come se avesse interiorizzato ed elaborato tutto questo attraverso il filtro della sua esperienza di vita. Per poi restituircelo e permetterci di contemplarlo in un modo nuovo e sorprendente”.

Quale altro giardino nel mondo le ricorda Kusama?

“Il vocabolario visivo del Park Güell di Antonio Gaudi a Barcellona per certi versi assomiglia a quello di Kusama. Gaudì, come Kusama, è stato ispirato dalla natura in tutta la sua varietà, e le sue forme sono colorate e dinamiche. Benché il Park Güell è stato progettato per accogliere la natura – ed avere un grande rispetto per la natura – è però anche indubbiamente opera dell’uomo. Allo stesso modo, con Kusama, le sue zucche sono zucche, ma nessuno penserebbe che sono in realtà quell’umile ortaggio pieno di semi che si nasconde tra viti e foglie. Una differenza che noto tra i due è che Gaudì è più ottimista e idealista, più speranzoso, la sua energia deriva da questo. Invece, l’opera di Kusama a volte può apparire più riflessiva, persino inquieta, dietro quella eccentricità in superficie”.

La vita di Kusama è costellata di fiori e più in generale di elementi naturali. È nata a Matsumoto, nel bel mezzo delle Alpi giapponesi. Suo padre possedeva un’azienda di sementi. Da bambina era circondata da campi di fiori che a volte – Kusama stessa lo confessa nella sua autobiografia – le sembravano opprimenti. E poi è arrivata in America con l’appoggio di Georgia O’Keeffe, pittrice americana che usava i fiori come tema principale delle sue opere d’arte. Cosa significa la natura per Kusama?

“Se torniamo all’idea dei miracoli, e del colore, e anche dei semi che il guscio duro della zucca protegge, allora penso che abbiamo uno strumento per capire meglio Kusama. L’uso che fa di ripetizioni e colori credo derivi dalla sua immersione infantile nel vivaio di semi della sua famiglia. Come O’Keeffe, Kusama concentra la nostra attenzione su una forma naturale, molto spesso ingigantendola. Visivamente, mentre il lavoro di O’Keeffe tendeva all’astratto, il lavoro di Kusama può essere considerato l’opposto: altamente decorativo. E anche le opere che non sono decorative tendono ad essere visivamente complesse. Il mio studio dei giardini giapponesi mi ha fatto capire l’antica convinzione che l’uomo non è separato dalla natura ma è parte integrante di essa. In un certo senso, penso che Kusama abbia costantemente a che fare con questo: essere parte della natura o essere un sé indipendente – penso che il suo dialogo con se stessa e con noi sull’essere parte dell’infinito, del cosmo, derivi da questo conflitto”.

Che cosa significano i pois per Kusama?

“Sono una sorta di elemento distintivo nel suo lavoro fin dai primi giorni. Uno degli aspetti chiave nelle opere di Kusama è la ripetizione. Ripetendo schemi e dimensioni diversi e coprendo tutte le superfici, Kusama trasmette allo spettatore sia l’annullamento della percezione della forma e del corpo, sia l’allucinazione o il disorientamento nel capire dove si trova nello spazio fisico. Per Kusama, questo si applica all’annullamento del sé. Ma gli spettatori portano i propri pensieri e le proprie storie per creare la propria esperienza. Penso che i punti tridimensionali – le sue sfere d’acciaio riflettenti – siano un’elaborazione di questa idea. Quando le guardi, vedi la stessa immagine più e più volte, ma ognuna da un’angolazione leggermente diversa. E tu, lo spettatore, sei al centro dell’immagine, e lo sfondo – che sia uno spazio interno o esterno – è la tua cornice. Tutto questo ritorna all’idea dell’io nella natura”.

Quanto Giappone c’è nelle opere di Kusama? E quanta America?

Una cosa di cui gli americani potrebbero non essere così consapevoli è il concetto di kawaii, che può essere tradotto come “carineria”. È molto popolare in Giappone. È caratterizzato dall’utilizzo di forme infantili, adorabili personaggi di fantasia, colori luminosi e brillanti. L’espressione visiva di Kusama è molto influenzata dal kawaii. Dall’altra parte, creado che la sua consapevolezza di sé e la sua tendenza all’autopromozione – a mettersi in mostra – derivano da quell’ostentazione del mondo artistico americano in cui era immersa, con Warhol e altri. In Giappone l’autopromozione non è assolutamente accettabile.

La storia di Kusama è anche la storia della lotta per essere accettata dal mondo artistico prevalentemente maschile degli anni ’60. Il fatto che fosse giovane donna immigrata giapponese spesso le impediva di essere ospitata nelle sale d’arte. Alcune delle opere innovative e all’avanguardia che riuscì ad esporre furono poi copiate da importanti artisti bianchi americani come Andy Warhol e Claes Oldenburg.

Laura, una laurea in lettere, writer per lavoro e per passione. Un amore sfrenato per New York. Appassionata di arte moderna. I viaggi e la fotografia nel suo DNA. Un computer, tanti libri e una tazza di caffè americano.